Doppia svolta per Iren. Il cda convocato ieri e guidato dal presidente esecutivo Luca Dal Fabbro ha assunto due decisioni che puntano a imprimere una brusca virata rispetto al passato prossimo. Da una parte il board ha licenziato l'ex ad Paolo Signorini, ancora ai domiciliari per le accuse di corruzione nell'inchiesta di Genova; dall'altra parte ha approvato un nuovo piano industriale al 2030 «concreto e visibile», improntato a una «più attenta allocazione del capitale», con un maggiore focus sui business regolati, anche alla luce dei mutamenti (leggi complicazioni) dello scenario energetico italiano ed europeo, a partire dalle rinnovabili. Un business plan in cui spicca anche una sostanziosa remunerazione per i soci, che fino al 2027 si vedranno corrisposto il valore massimo tra un incremento annuo dell'8% e un pay out del 60% sull'utile netto consolidato ordinario. Positiva l'accoglienza di Piazza Affari, dove il titolo del gruppo controllato dai Comuni di Genova, Torino e Reggio Emilia, ha chiuso in rialzo dell'i% a un soffio da 2 euro. A un mese e mezzo dalle misure di custodia cautelare nei confronti di Signorini, il cda - tenuto conto dell'istruttoria condotta sia dal comitato per la remunerazione e le nomine che dal comitato controllo rischi e sostenibilità - ha dunque deliberato il licenziamento del manager per giusta causa oggettiva, in conseguenza della «oggettiva incompatibilità della prestazione lavorativa di Signorini, in qualità di dirigente apicale, con la situazione contingente generatasi». Tutto ciò, ha specificato una nota, causa un'impossibilità, «ormai irreversibile e non più soltanto temporanea, di esercizio delle sue funzioni». L'assetto di governance resta quello definito a inizio maggio, con la redistribuzione delle deleghe a Dal Fabbro e al vice presidente Moris Ferretti. «L'attuale governance ha già dato ampia prova di tenuta e di performance anche quando era andato via l'altro ad - ha inoltre precisato Dal Fabbro, riferendosi a Gianni Armani, che la scorsa estate aveva lasciato Iren per Enel -. Non prevediamo un cambiamento a breve, decideranno gli azionisti se e come», fermo restando il fatto che l'intero cda scadrà tra meno di un anno. Coincidenza vuole che portasse proprio la firma di Armani il piano approvato nella primavera 2o23, che ieri il cda ha deciso di rivedere, in nome di «una forte focalizzazione strategica e un'attenta disciplina finanziaria». Detto in numeri: investimenti per 8,2 miliardi (900 milioni in meno), un Ebitda che a fine business plan toccherà 1,8 miliardi e un utile netto sopra 400 milioni; il tutto tenendo sotto controllo l'indebitamento finanziario netto (2,7volte i margini lordi). Novità sulla dividend policy: fino al 2027 le cedole, come detto, saranno pari al valore massimo tra un incremento annuo dell'8% e un pay-out del 60% dell'utile netto consolidato ordinario, poi resterà soltanto il secondo parametro. Ma il cambio dirotta rispetto a un anno fa è ancora più evidente sulle rinnovabili: il target passa dai precedenti 3,6 GW, compreso l'idroelettrico, a «oltre 2 GW» poiché si punterà su quelle supportate da incentivi. Il forte richiamo alla disciplina finanziaria, che permette di estendere al 2030 la visibilità sulla remunerazione degli azionisti, si legge anche nella riduzione all'osso delle operazioni straordinarie, visto che il 94% degli investimenti - in particolare sulle reti, con una Rab stimata a fine piano di 4,5 miliardi, e sull'economia circolare - saranno di natura organica. Di fatto le operazioni straordinarie sono già sul tavolo: il consolidamento di Sienambiente è già avvenuto e quello di Egea avverrà in un futuro prossimo («dipenderà dai suoi risultati», ha precisato Dal Fabbro). Entrambe, insieme con un processo di efficientamento già avviato, supporteranno la crescita dell'Ebitda per circa130 milioni in arco piano. Previste infine la possibile cessione del termoelettrico di Turbigo, l'apertura del capitale della filiera rinnovabili e circa 2.400 assunzioni.