I primi 20 anni del decreto Ronchi (e dell’economia circolare)

Il 5 febbraio del 1997 veniva firmato a Roma il decreto legislativo 22/97, meglio conosciuto come “decreto Ronchi”, dal nome dell’allora ministro dell’Ambiente. A vent’anni di distanza, la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile ha realizzato un report ('”La riforma dei rifiuti a 20 anni dal D.Lgs 22/97 e alla vigilia del nuove Direttive rifiuti-circular economy'”) per tracciare un bilancio e analizzare lo status quo del sistema di gestione dei rifiuti in Italia. Rispetto a 20 anni fa, nel Belpaese si producono circa 3 milioni di tonnellate di rifiuti in più, ma in discarica finisce meno spazzatura. Al momento dell’approvazione della normativa infatti, i rifiuti smaltiti in discarica erano pari all’80% del totale, oggi invece sono circa il 26%. In aumento, invece, la raccolta differenziata: se a metà anni novanta sfiorava a stento il 10%, oggi si attesta intorno al 48%. Bene anche i dati sul recupero degli imballaggi: dal 33% del 1997 al 78,5% del 2015. Confortano anche i dati (elaborati da Ispra) sul riciclo e il recupero di materiale derivante da rifiuti speciali, salito negli ultimi due decenni da 13 a 83,4 milioni di tonnellate. In Italia insomma si pensa, e si agisce, in modo più green rispetto al recente passato e questo favorisce la così detta “green economy” che conta oggi oltre 6mila imprese, con un fatturato di 50 miliardi di euro e oltre 150mila lavoratori. Non sono tutte rose e fiori però: dallo studio emerge (così come in molti altri campi) che l’Italia viaggia a due velocità: bene il nord, molto meno bene il sud (con la Sicilia maglia nera per la raccolta differenziata pari a solo il 13%). E la Toscana? La Regione si conferma fra le più virtuose in Italia e cresce in modo costante: osservando i dati elaborati da ARRR (Agenzia Regionale Recupero Risorse) si passa dal 13,76% di RD del 1998, al 49,76% del 2015. Una crescita che ricalca anche il dato medio registrato nelle province della Toscana del sud: Siena (la più virtuosa) sale dal 12% del 1998 al 44,67% del 2015. Triplica anche la provincia aretina (dall’11,62% al 37,86%). Il territorio grossetano, nonostante rimanga ancora più indietro rispetto ai cugini senesi e aretini, riesce comunque a passare da un inconsistente 3% di RD del 1998 sino al 33% del 2015. La differenziata cresce quindi, ma cosa succede poi ai rifiuti urbani avviati a riciclo? Purtroppo ancora oggi non tutte le tonnellate prelevate da cassonetti e mastelli diventano effettivamente nuovi materiali, con un loro posto nella filiera produttiva. I motivi principali di questa lacuna? Si va dalla presenza (a volte elevatissima) di frazioni estranee nella raccolta differenziata (dove la qualità è importante almeno quanto la quantità), alla mancanza di una richiesta di mercato (non tutti i rifiuti hanno un valore economico), fino alla semplice constatazione che vede gli impianti di riciclo a loro volta fonte di rifiuti (speciali). E anche su questo sarà necessario lavorare ancora molto, così come ribadito dallo stesso Edo Ronchi: “Con quella riforma scegliemmo di anticipare, non senza difficoltà, gli indirizzi europei sulla gerarchia nella gestione dei rifiuti, assegnando una netta priorità al riciclo rispetto al largamente prevalente smaltimento in discarica. Quel sistema potrebbe consentire di raggiungere anche i nuovi e più impegnativi target europei di riciclo a condizione che venga applicata in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale. Molto importante sarà anche aggiornare i decreti sul recupero dei rifiuti speciali per avere una più estesa ed efficiente diffusione del riciclo con il regime di end of waste”. Suggerimenti da tenere di conto per permettere all’Italia di crescere ancora verso un’economia davvero circolare.

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