Dopo Napoli e Roma, per citare i casi più eclatanti, un’emergenza rifiuti potrebbe scattare anche nella virtuosa Toscana? Secondo le stesse aziende a partecipazione pubblica che gestiscono i servizi di igiene urbana, nell’ambito dell’assemblea annuale di Confservizi Cispel Toscana cui sono associate, sì: e hanno scelto proprio l’appuntamento fiorentino per dare oggi l’allarme.«La situazione di estrema criticità che sta vivendo il sistema dei rifiuti urbani in Toscana rischia ormai di produrre momenti di vera e propria emergenza rifiuti – ha dichiarato senza mezzi termini il presidente Cispel Alfredo De Girolamo, assieme ai presidenti delle aziende attive nella gestione dei rifiuti – Un’emergenza che deriva da un quadro di disponibilità impiantistica non definito e oggetto di continui assestamenti, in assenza di un quadro di pianificazione e di gestione delle autorizzazioni certo. I gestori del servizio di igiene urbana a riguardo avevano già avuto un incontro in Presidenza lo scorso aprile, ma nonostante le nostre numerose sollecitazioni niente è stato fatto. Abbiamo dunque inviato una lettera al Presidente della Regione e all’Assessore regionale all’Ambiente per certificare un rischio di emergenza ormai imminente, se non verranno fatti passi avanti».A tracciare il quadro del problema sono gli ultimi dati resi noti da Ispra: in un solo anno (2016) la Toscana produce – specchio dei consumi dei propri cittadini – oltre 2,3 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, valore in crescita dal 2014 insieme alla ripresa del Pil. Per quanto riguarda la gestione, sempre nel 2016 tocca quota 47% l’avvio a riciclo, 12% la termovalorizzazione e il 31% in discarica. Tutti processi per i quali occorrono impianti industriali dedicati, secondo logica di sostenibilità e prossimità: se la dotazione è insufficiente sono guai.E per Cispel in Toscana «l’impasse impiantistica è un dato di fatto: la chiusura del termovalorizzatore di Pisa, il sequestro dell’impianto del Valdarno, di Case Passerini, i vincoli operativi imposti su San Donnino. A questo – prosegue De Girolamo – si aggiunge la messa in manutenzione di alcuni impianti (Montale) e l’indisponibilità momentanea di conferimenti fuori regione. Altri eventi sono annunciati o previsti: lo stop al termovalorizzatore di Montale nel 2023, di Livorno al 2021, della discarica di Terranova Bracciolini. Lo stesso ampliamento della discarica di Rosignano è fermo. I progetti di realizzazione di nuovi impianti di termovalorizzazione (Firenze, Scarlino) ancora fermi. Senza parlare delle difficoltà di conferire sostanza organica, fanghi di depurazione e la recentissima crisi della filiera dei rifiuti ingombranti. In questo quadro i gestori del servizio delle fasi di raccolta non riescono più ad operare in condizioni di normalità e tranquillità».Da parte della Regione, un Piano rifiuti e bonifiche (Prb) è stato approvato nel 2014 e modificato nel 2017, delineando un tragitto che avrebbe dovuto portare a raggiungere (entro il 2020) una raccolta differenziata fino al 70%, un riciclo effettivo di materia da rifiuti urbani di almeno il 60%, un 20% di recupero energetico e smaltimenti in discarica fino a un massimo del 10%. Recentemente, il presidente Enrico Rossi ha annunciato una nuova versione del Prb, attesa entro l’estate, che cambierà le carte in tavola.Secondo quanto affermano le stesse aziende che si occupano dei servizi di igiene urbana, questa fase d’incertezza sta diventando però sempre più difficile da gestire. Gli stoccaggi sono in questi giorni ormai saturi, e le conseguenze immaginabili sui servizi e le ripercussioni per i cittadini: «Occorre un tavolo operativo regionale unico da attivare immediatamente, insieme alle Ato, per definire un quadro di flussi certo e stabile nel breve e medio periodo, fino all’approvazione del nuovo Piano Regionale di gestione dei rifiuti. I gestori – conclude De Girolamo – sono pronti ad attivare tutte le soluzioni tecnicamente e giuridicamente possibili, ma in un quadro di scelte e decisioni infrastrutturali chiaro».Un contesto nel quale sarà necessario guidare anche il raziocinio della cittadinanza, che sul tema rifiuti non sempre mostra di avere le idee chiare. Ad esempio, secondo quanto emerso dal sondaggio appena condotto da Lorien Consulting per Legambiente in occasione dell’Ecoforum in corso di svolgimento a Roma, solo per il 46% degli italiani il rifiuto differenziato dovrebbe essere avviato a riciclo, mentre per un 3% andrebbe “semplicemente smaltito in discarica” e un altro 7% “non sa”. Con queste premesse, è chiaro che molti degli impianti industriali necessari per gestire sul territorio il ciclo integrato dei rifiuti non vengano compresi e anzi osteggiati in un’ottica Nimby: per diffondere nella cittadinanza una percezione più costruttiva del fenomeno il ruolo pedagogico della politica – e dei media – appare sempre più importante.