Vietato appendere i chiodi, vietato graffiare le pareti, vietato sbattere porte e finestre, vietato persino correre nei corridoi o spostare banchi, sedie e cattedre. Perché, ancora, dai muri di alcune scuole toscane fuoriescono fibre di amianto. Tante altre, a dire il vero, sono state bonificate o sono in corso di bonifica, come l’istituto comprensivo «Don Milani» la cui sede centrale a Firenze è in «completo rifacimento», assicura la dirigente scolastica Antonella Bambacaro. I lavori, dal valore complessivo di quasi 13 milioni di euro, prevedono la realizzazione di nuovi solai, controsoffitti, pavimentazioni, impianti elettrici e ascensori per eliminare ogni fibra di amianto, perché anche dosi «straordinariamente piccole» – sostengono i ricercatori – possono provocare malattie letali. In generale, il budget stanziato dal Comune di Firenze per l’eliminazione dell’amianto dalle scuole è raddoppiato nel 2023 e ammonta oggi a oltre 43 milioni di euro. Per un totale di 34 istituti coinvolti dai cantieri nei cinque quartieri. Ma in Toscana, secondo l’Osservatorio nazionale amianto (Ona), sono ancora centinaia gli istituti scolastici, i centri sportivi, gli edifici industriali, gli uffici pubblici e persino i luoghi di cultura contaminati dall’amianto. Il problema, a distanza di trent’anni dalla messa al bando della fibra killer, è che non esistono ancora rilevazioni ufficiali. Secondo le stime a campione di Legambiente e il monitoraggio – realizzato tramite segnalazioni verificate – di Ona, sarebbero 2.500 le scuole italiane (il 4% del totale) contaminate. Ma, intanto, personale scolastico e docenti continuano a morire, senza ancora che sia stato raggiunto il picco di vittime dell’amianto. In Toscana i casi di mesotelioma – rara forma di tumore, definita «sentinella» perché causata solo dall’amianto – sono stati quasi 2.000 dal 1993 al 2018. E la nostra Regione è la seconda in Italia per il quantitativo di rifiuti di amianto in discarica: circa 60mila tonnellate (dati Osservatorio nazionale amianto). Non solo: sono moltissime anche le denunce. Delle oltre 7mila arrivate nel 2022 in Toscana, gran parte erano di impiegati nel settore delle costruzioni. Secondo l’ultima mappatura Ona disponibile (2018), sono ben 161 i siti industriali contaminati e addirittura 806 gli edifici pubblici. Senza contare il sommerso che, con ogni probabilità, non è mai stato censito. In altre parole, il rischio è dietro l’angolo. Ed è fatale. La diagnosi di mesotelioma pleurico, infatti, è spesso lapidaria. La sopravvivenza a cinque anni si attesta al 20% nella fascia fra i 45 e i 54 anni e diminuisce progressivamente con l’aumentare dell’età. Ma l’amianto uccide anche per asbestosi, malattia polmonare che provoca dispnea, e per altri tumori correlati. Senza contare i danni respiratori che arrivano pure senza l’insorgere del cancro. Con il risultato, nonostante i precedenti nelle sentenze degli scorsi anni, che per i parenti delle vittime in cerca di risarcimento si aprono spesso lunghi processi dagli esiti incerti. «Le persone neanche sanno che possono chiedere somme maggiori di quelle che pensano», afferma l’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio nazionale amianto. «Tanti studenti e insegnanti – continua – sono stati per anni a rischio esposizione amianto e anche tra questi sono stati registrati moltissimi casi di patologie asbesto correlate». Per questo, la sentenza che nel 2021 ha condannato per la prima volta il ministero dell’Istruzione con l’accusa di mancata bonifica dall’amianto, costringendolo a un risarcimento da quasi un milione di euro in favore della famiglia di un’ex docente morta di mesotelioma, è stata definita «un provvedimento storico». La proposta dell’Ona è la stessa da anni: «Dotazione di fondi per la bonifica e messa in sicurezza di tutte le strutture», dichiara Bonanni. Ma l’amianto continua a essere cancerogeno anche quando, silenziosamente, viene rimosso dalle scuole e dagli edifici pubblici. In Italia, allo stato attuale, non è possibile l’inertizzazione, il processo che ottiene un prodotto simile al vetro dopo aver portato le fibre a temperature superiori ai 1.500 gradi. Il Piano nazionale amianto, di competenza del ministero dell’Ambiente, ha evidenziato in Italia «la drammatica carenza di siti di smaltimento, che pone la necessità di promuovere la sperimentazione di metodi alternativi allo smaltimento in discarica». Non solo: è stato il Parlamento europeo, ormai undici anni fa, ad affermare che «il conferimento dei rifiuti di amianto in discarica non è più sicuro». Per non parlare dello smaltimento abusivo messo in pratica, ancora troppo spesso, dai privati cittadini. Solo tre settimane fa a Follonica, in provincia di Grosseto, sono stati trovati rifiuti di amianto gettati dai residenti in un cassonetto. Il gesto ha comportato la necessaria chiusura obbligatoria dei contenitori e la costosa procedura di bonifica dell’area, pagata interamente dal Comune con il coinvolgimento della Asl, per evitare ripercussioni sulla salute della popolazione. E il caso è solo un esempio, fra i tanti, di un malcostume ancora troppo diffuso. Perciò, in Toscana si è deciso – tramite la campagna «Stop amianto» di Sei Toscana – di coinvolgere i cittadini nello smaltimento autonomo dei materiali in asbesto. La procedura è semplice ed è spiegata in un tutorial diffuso online: si indossa la tuta protettiva, si maneggia l’amianto con l’apposito kit e lo si rimuove. Per adesso, hanno aderito Comuni in diverse province, da Arezzo a Lucca, ma la collaborazione dei residenti resta il principale ostacolo.