L’Italia rimane il Paese più circolare d’Europa, con il 72% di riciclo sul totale dei rifiuti prodotti (speciali e urbani) a fronte di una media europea del 53%. Seguono la Spagna, la Francia, la Germania e la Polonia, nella classifica di “circolarità” che tiene conto di una serie di indicatori, tra cui il tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo, il rapporto fra la produzione dei rifiuti e il consumo di materiali, la quota di rinnovabili sul consumo totale di energia. Nonostante i buoni risultati, per l’Italia il rischio è quello di un rallentamento, dal momento che il divario con gli altri Paesi è sempre più ridotto rispetto al passato. Questo è lo scenario che emerge dai dati della quinta edizione del “Rapporto nazionale sull’economia circolare” realizzata dal Circular Economy Network in collaborazione con ENEA e con il patrocinio della Commissione Europea, del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, presentato nei giorni scorsi a Roma. Il dato da cui parte l’analisi è preoccupante: l’economia globale brucia oltre cento miliardi di tonnellate di materiali l‘anno. Accelerare la transizione all’economia circolare, dunque, contribuirebbe a migliorare le condizioni del pianeta perché l’estrazione di materiale vergine potrebbe diminuire di oltre un terzo (-34%) e le emissioni di gas serra potrebbero essere ridotte contenendo l’aumento della temperatura globale entro i 2°C, salvaguardando insostituibili ecosistemi fondamentali per la vita del nostro pianeta. Ma ci sarebbero anche consistenti benefici economici. A partire da un importante contributo alla lotta contro l’inflazione che viene alimentata dai rincari del costo dei materiali e dell’energia: le strategie mirate al recupero di materia ed energia hanno un evidente effetto deflattivo.
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