Una grande multitulity regionale per i servizi pubblici come gas, acqua e smaltimento rifiuti. È questo uno dei punti fondamentali scritti nell’agenda dei sindaci dopo l’incontro di Livorno di ieri. Una questione decisiva. Che andrebbe affrontata con coraggio, chiarezza di idee e capacità di visione. Andrebbe sviluppata in verticale o in orizzontale? Una sola multiutility che fa tutto o un’azienda regionale per ogni servizio? Soprattutto, a maggioranza pubblica o privata? E ancora, altre domande essenziali. Una per tutte, la conduzione economica dell’azienda. I servizi dovrebbero essere gestiti secondo una logica industriale, per evitare che si consentano sacche di scarsa produttività. E diamo questo come dato acquisito. Ma poi: cosa fare dei profitti creati da una logica industriale? Si ripartiscono con la collettività attraverso un ribasso delle tariffe o li si utilizza per progetti specifici? Per fare un esempio: i lauti dividendi del gas consegnati ai Comuni azionisti potrebbero finanziare la realizzazione di nuovi asili nido. Si tratta di scelte politiche, appunto. Che devono accompagnare con trasparenza la costruzione di un’azienda che la Toscana, per colpa della sua classe dirigente, adesso non ha. E qui veniamo al vero punto dolente. Chi scrive ha assistito con sconsolato raccapriccio alla sconsiderata inattività con cui i vertici delle aziende pubbliche toscane e i loro referenti politici hanno risposto alle sfide poste a cavallo del 2000 dalla concentrazione già allora in movimento tra gestori dei servizi pubblici. Qualsiasi discussione, ammantata da ufficiali richiami alla coesione regionale, si scontrava contro sotterranee (ma non tanto) guerriglie localistiche. Era sconcertante vedere come, nella balcanizzazione del partito di maggioranza della sinistra, quando si trattava di aziende locali nessuno si fidava mai degli "altri" con cui si sarebbe dovuto fondere. E gli "altri" erano di volta in volta i fiorentini, i pratesi, i pisani, i senesi etc etc. Ma si badi bene: non era il campanilismo da battuta al bar. Da parte di molti (non di tutti) era la volontà di non perdere la presa su aziende che garantivano, oltre al servizio di loro competenza, anche l’esistenza di consigli di amministrazione e posti di lavoro. E quindi consenso. Ben venga, quindi, l’appello a creare una società regionale capace di competere sul mercato nazionale e oltre. Ma ci vuole chiarezza di progetto, capacità di visione e voglia di fuggire da logiche di campanile ormai preistoriche.