Che fine hanno fatto gli incentivi per il riciclo degli imballaggi in plastica?

La crescente presenza di plastica nell’ambiente marino, dovuta all’eccessivo impiego di prodotti dalla vita utile brevissima se non monouso, e soprattutto all’incapacità mostrata dall’uomo di gestire adeguatamente questi materiali una volta divenuti rifiuti, ha finalmente indotto le massime autorità globali – tra cui l’Onu – a mettere nel mirino il problema. Neanche il tempo di prenderne pienamente coscienza, e nuove ricerche avvisano che l’emergenza potrebbe essere ben più ampia di quanto pensassimo: l’inquinamento da microplastiche del suolo, ad esempio, sembra molto più alto di quello marino (da 4 a 23 volte superiore, a seconda dell’ambiente), aggravando ulteriormente la minaccia.

È dunque evidente come, oltre a denunciare lo stato di degrado ambientale, sarebbe urgente mettere in campo anche le soluzioni al problema, che sono in larga parte già disponibili: guardando agli ultimi dati raccolti da Legambiente lungo il Mediterraneo, si nota ad esempio che la cattiva gestione dei rifiuti urbani è causa del 54% dei rifiuti spiaggiati. Occorre dunque migliorarla e irrobustirla.

A tal fine un’ottima notizia è spuntata tra le pagine della legge di Bilancio 2018, approvata nel dicembre scorso: per la prima volta nella storia nazionale, grazie a un emendamento che vede come primo proponente Stefano Vignaroli (M5S) ma che ha trovato una condivisione di principi trasversale, sono stati introdotti incentivi per favorire il riciclo del plasmix.

Ovvero di quegli imballaggi in plastica che, una volta divenuti rifiuti, sono di più difficile gestione. E non si tratta di una minoranza: queste plastiche eterogenee arrivano a comporre oltre il 50% di tutti gli imballaggi plastici raccolti come rifiuti, e solo poche eccellenze a livello nazionale (la prima è stata la Revet, in Toscana) sono capace di riciclarle per poi poterle re-immetterle sul mercato sotto forma di prodotti riciclati. Una volta re-immessi sul mercato questi prodotti in plastica riciclata devono infine essere anche ri-acquistati, naturalmente, perché il cerchio dell’economia circolare possa dirsi chiuso. Ed è qui che interviene l’ultima legge di Bilancio, prevedendo un credito d’imposta per l’acquisto pari al 36%.

Per il momento la misura ha un importo poco più che simbolico, 3 milioni di euro in tre anni (2018, 2019 e 2020), ma non per questo poco significativa. Il problema, piuttosto, è che non può agire. Mancano i decreti attuativi: un grande classico della produzione legislativa italiana. E un problema noto da tempo.

Il quotidiano economico Italia Oggi già a fine dicembre 2017, pochi giorni dopo l’approvazione della legge di Bilancio, avvisava che «sarà comunque un decreto attuativo a regolare condizioni, modalità e termini per la spettanza e la fruizione del credito fiscale. A emanarlo sarà il ministero dell’Economia, di concerto con i dicasteri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente, entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge (ossia entro fine marzo 2018)». Marzo però si è concluso, e dei decreti attuativi ancora non c’è traccia: il riciclo della plastica, evidentemente, non è così urgente.

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