Ad oggi le fibre sintetiche assorbono il 70% di quelle impiegate in abiti e arredo Marta Casadei Dal "pastazzo", cioè lo scarto della produzione di succo di agrumi, al micelio, l'apparato vegetativo dei funghi fatto da sottili filamenti. Passando per i vinaccioli che vengono scartati dalla produzione vinicola. Così come la pelle animale che viene impiegata nelle produzioni di moda è uno scarto dell'industria alimentare, anche il segmento della moda che vuole offrire ai consumatori - e anche all'industria, in vista di un futuro in cui il consumo di carne potrebbe ridursi e, con esso, la disponibilità di pellame - un'alternativa vegana e sostenibile sta puntando sempre di più sugli scarti. Nell'ottica di una maggiore circolarità, alla quale è ispirata la strategia tessile europea. I progetti di materiali plant based per l'industria della moda sono diversi e ad alto tasso di recupero e innovazione, sebbene ancora di poco peso nell'industria: spaziano dalla siciliana Orange Fiber alla veneta Vegea, fino a Mycoworks, nata in California dall'intuizione di tre artisti alle prese con il micelio. E rappresentano un terreno fertile di sperimentazione: «La simbiosi industriale tra il mondo tessile e il Econyl, un nylon rigenerato, che oggi vengono utilizzati dai brand. Le fibre sintetiche sono, in generale, le più usate: secondo il report Just Fashion Transition 2023 di The European House Ambrosetti sono circa 1170% di quelle impiegate per confezionare abiti e tessuti da arredamento. Queste fibre possono essere meno impattanti rispetto a quelle naturali che, come il cotone, necessitano di enormi quantità di risorse per essere coltivate e trattate. Ma la strada "giusta" non è una sola: «Ad oggi si sta lavorando in diverse direzioni, come modelli sviluppati sulla durabilità, spesso più garantita dalle fibre sintetiche oil based, o della riclabilità, che oggi è più semplice per i tessuti mono materiale. Senza dimenticare la biodegrabilità, un altro tema importante, che è propria delle fibre naturali come la lana, il cotone, la seta, la canapa e le fibre liberiane in genere», chiosa Sampellegrini. A segnare la strada anche le nuove normative europee. Innovazione. La moda è la seconda industria più inquinante al mondo dietro quella petrolchimica, ma sta puntando sulla ricerca per ridurre l'impatto ambientale mondo alimentare è un trend interessante - spiega Mauro Sampellegrini, head of research and innovation di Sistema moda italia - e non si concretizza solo nelle fibre basate su scarti vegetali, ma anche in elementi di scarto della filiera alimentare che vengono usati in quella della moda per sostituire processi , come le tinture e particolari finissaggi, che possono essere altamente impattanti». La chiave di volta per aumentare il livello di sostenibilità del tessile moda è la ricerca.