Italia virtuosa nel riciclaggio dei rifiuti da imballaggio

E’ davvero un peccato che in Italia sia stata quasi ignorata la presentazione da parte della Commissione Europea, l'8 giugno, della relazione che indica gli Stati membri a rischio di non raggiungere l'obiettivo di riciclaggio dei rifiuti di imballaggio per il 2025 e che mette in primo piano quelli che ce la stanno facendo, e anche alla grande, come l'Italia. L'Italia, e qui una prima buona notizia che si sarebbe dovuta valorizzare, è tra i Paesi sulla buona strada per raggiungere non solo l'obiettivo di cui si diceva, ma anche quello di preparazione per il riutilizzo e riciclaggio dei rifiuti urbani per il 20 25. Eppure, sta proprio in questa notizia la possibile chiave di volta e il possibile punto di equilibrio (che noi abbiamo trovato) sul duro confronto, che tanto ci ha impegnato in questi mesi, relativo alla proposta di Regolamento della Commissione Europea volta a ridurre i rifiuti di imballaggio. A partire dagli anni 90 l'Italia ha investito in una filiera industriale di raccolta, preparazione al riutilizzo e riciclo dei rifiuti, inclusi gli imballaggi (con consorzi, imprese e tutta la complessa catena che ne consegue) che ci ha permesso di arrivare in anticipo rispetto agli obiettivi europei, risultati da valorizzare per non stravolgere un modello che ha funzionato. È dunque giusto che si sia tenuto conto in Parlamento, nelle scelte in corso, di questa eccellente realtà, per non penalizzare, anche involontariamente, le esperienze virtuose in atto. In Europa, come nel mondo, i rifiuti e i rifiuti di imballaggio crescono senza sosta e noi non possiamo negare questa preoccupante realtà: dai 66 milioni di tonnellate nel 2009, alle 78 del 2019, fino ad una previsione di circa 92 tonnellate nel 2030. Sbaglia, dunque, e fa danno al proprio Paese chi non ammette la necessità di intervenire con decisione, come sta facendo la Ue per prevenire, ridurre e trattare correttamente i rifiuti da imballaggio e chi non sostiene le finalità del Regolamento che aggiorna un quadro normativo iniziato già dal i994. L'obiettivo non è solo di definire regole più stringenti per produttori e consumatori, ma anche di adottare le regole più uniformi per far funzionare meglio il mercato interno europeo. Come in tutte le normative unionali, l'ambizione degli obiettivi deve andare di pari passo con la praticabilità delle soluzioni proposte, assicurando la miglior efficacia dal punto di vista ambientale e della sostenibilità sulla base di valutazioni di impatto rigorose. Anche la gerarchia dei rifiuti va valutata tenendo conto del ciclo di vita di un prodotto/imballaggio e delle risorse impiegate per produrlo e poi trattarlo. Con questo spirito ho lavorato, come Relatrice in Commissione Industria del Parlamento Europeo, stabilendo una norma per cui se un Paese arriva per determinati materiali di imballaggio ad un alto tasso di riciclo (la nostra ipotesi è l'85%) per quegli stessi materiali i target di riuso non sono obbligatori. È una buona soluzione, all'insegna della sostenibilità e della salvaguardia della positività di esperienze in atto, come in Italia, Paese leader nelle pratiche di riciclo e dove neppure l'emergenza sanitaria ha frenato i ritmi di questo settore dell'economia circolare. Trasformare un rifiuto in risorsa, farne una "nuova merce" che ha valore per soddisfare la crescente domanda di "contenuto riciclato" come lo stesso Regolamento richiede per il futuro, è davvero l'emblema dell'economia circolare, il paradigma più avanzato del ciclo produzioneconsumo-riciclo-produzione. Per essere coerenti con questo obiettivo occorre, però, un grande investimento nel rafforzamento delle infrastrutture di raccolta e trattamento e nella ricerca continua di soluzioni tecnologiche sempre più avanzate. In primo piano rimane, e non va sottovalutato, l'obiettivo della riduzione della quantità complessiva dei rifiuti di imballaggio anche attraverso il REFILLING, con nuove modalità di distribuzione e consumo, come le ricariche, da incentivare. È questa una buona prassi che nella grande e piccola distribuzione si sta avviando e si sta affermando con successo. L'iter del Regolamento non è finito: la prossima tappa è a settembre in Commissione Ambiente e poi ci aspetta l'aula per il voto sulla posizione del Parlamento che poi dovrà essere negoziata con gli Stati membri. Ci sarà ancora molto da lavorare. Confido che lo si potrà fare, a patto che ci si muova come "sistema Paese", uniti, senza strumentalizzazioni e con un approccio costruttivo. Le grandi trasformazioni si possono fare solo con una stretta alleanza tra impresa e ambiente e, anche, lavoro. L'idea di rifiutare in blocco le politiche ambientali europee, che circola nella maggioranza di governo per motivi elettoralistici, oltre che profondamente sbagliata e dannosa per il Paese, è controproducente. 

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