L’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana (Arpat) ha dedicato un focus all’incontro sull’economia circolare che il Museo del tessuto di Prato ha ospitato nei giorni scorsi; la città toscana – che in tempi non sospetti ha innestato una florida economia sul riciclo degli stracci, e dove oggi non mancano le difficoltà legate alla gestione degli scarti tessili – fa infatti parte di un gruppo di lavoro europeo che si occupa del tema, coordinato dalla capitale della Norvegia, e costituisce un punto d’osservazione privilegiato dal quale documentare le possibilità e le sfide che si aprono di fronte all’esigenza dell’economia circolare.«Quello che emerge con forza – riassumono dall’Arpat – è che risulta necessario uscire dal perimetro che lega l’economia circolare alle politiche ambientali ed in particolare ai rifiuti, per approdare ad un’idea di economia circolare che investe il mondo produttivo ma anche quello del consumo».Accanto alla gestione dei rifiuti, argomentano dall’Agenzia regionale, è dunque necessario pensare prioritariamente «all’ecodesign ed alla prevenzione dei rifiuti», e che sia «più giusto condividere spazi e beni piuttosto che detenerne la proprietà». Ovvero, ciò che oggi viene chiamato sharing economy.«Tutto ciò – aggiungono dall’Arpat – ha bisogno di una forte spinta in termini di informazione, perché il processo di affermazione dell’economia circolare incontra una serie di difficoltà e limiti di varia natura: tecnologica, normativa, sociale che possono essere superati con la conoscenza, l’informazione che faccia comprendere a pieno i vantaggi non solo ambientali ma anche economici e sociali di un’economia di tipo circolare, creando condivisione tra i cittadini. In questo periodo di transizione, che durerà ancora svariati anni, gli enti locali possono svolgere un ruolo di facilitatori. Chi amministra una città può influire molto sull’affermazione dell’economia circolare nel tessuto urbano ma anche sociale; ad esempio, introducendo facilitazioni ed incentivi per chi si mette nel percorso dell’economia circolare o, al contrario, disincentivando chi non vuole abbandonare un modello basato sull’economia lineare».Anche in questo caso (buona) informazione e comunicazione risultano essenziali, ed è per questo che le amministrazioni, locali ma anche nazionali, possono essere chiamate a «lanciare campagne per fare comprendere la necessità di un consumo più consapevole».«Inoltre a livello centrale – aggiunge l’Arpat documentando quanto emerso a Prato – la Pubblica amministrazione può fare molto per superare i limiti legislativi/normativi; non solo sono necessarie nuove norme, ma talvolta potrebbero essere sufficienti indirizzi interpretativi, in grado di superare i cd “coni d’ombra”; come accade quando ci si avvicina alle definizioni di rifiuto, materia prima seconda, sottoprodotto, che non sempre risultano chiare e soprattutto univoche». Non a caso (anche) da Legambiente affermano che l’economia circolare italiana è ostacolata da una normativa “ottusa e miope”, dove più che legiferare occorrerebbe semplificare.Durante l’incontro pratese sono quattro gli ambiti emersi come nevralgici affinché si affermi l’economia circolare: utilizzo degli spazi; materie utilizzate per costruire; fornitura di servizi; servizi di produzione. Ambiti per agire sui quali, naturalmente, c’è bisogno di risorse economiche che però scarseggiano alla prova dei fatti. «È inutile negare che – chiudono dall’Arpat – sono necessarie risorse, anche economiche, che attualmente a livello europeo (finanziamenti europei 2014-2020), e non solo, sono assenti; prima del 2014, questo tema, infatti, non era ancora entrato nell’agenda europea, speriamo nella prossima tornata di finanziamenti».