Carta, qualcosa non torna nel Cac differenziato per migliorare la riciclabilità degli imballaggi

Nella guerra mediatica e dicotomica tra chi propone la moratoria assoluta degli inceneritori e chi invece ne vorrebbe fare a bizzeffe, magari uno per provincia (invece sappiamo bene che in media stat virtus: pochi inceneritori, moderni ed efficienti, servono ed anzi sono funzionali a garantire una corretta filiera del riciclo), ogni tanto spunta il vecchio saggio che dall’alto del suo piedistallo dichiara: il problema è a monte, in chi produce gli imballaggi.L’affermazione è corretta, ma come sempre la soluzione non è così semplice. Ad esempio: per far cambiare idea a una piccola azienda che produce packaging infischiandosene se il suo imballaggio è riciclabile oppure no, probabilmente un incentivo/disincentivo economico è sufficiente. Per far desistere la Coca cola dal vendere miliardi di bottigliette dotate di etichetta coprente che spiega il suo nuovo mirabolante concorso a premi ma che, proprio a causa della sua etichetta coprente, impedisce la selezione e il riciclo della bottiglietta stessa, probabilmente il disincentivo economico non sarà sufficiente.Comunque sia, questa piccola leva economica che potrebbe spingere un produttore di imballaggi a diventare più sostenibile esiste e si chiama Cac differenziato, ovvero si va a variare il contributo che ogni produttore di imballaggio versa al Conai per coprire i maggiori oneri della raccolta differenziata (attenzione, leggere bene: la raccolta differenziata costa di più rispetto a scavare buche e riempirle: guai a quei politici che per indorare la pillola del porta a porta vanno a dire ai cittadini che la raccolta differenziata si fa per riparmiare!) in base alla riciclabilità del materiale.Tutto bene allora? Magari! Si è partiti con la plastica sbagliando e si prosegue ora con la carta, sbagliando nuovamente.Il primo Cac differenziato infatti, quello della plastica, commetteva l’errore di considerare l’imballaggio e non il materiale con cui era fatto. Il risultato è che inizialmente la bottiglietta in Pet opaco (non riciclabile proprio a causa degli opacizzanti) e quella rivestita di un’etichetta coprente (non riciclabile perché il selettore automatico riconosce solo l’etichetta, che non è Pet, e lo scarta) hanno visto abbassarsi il loro contributo anche se non sono riciclabili, prima che l’errore fosse corretto. Mentre il vasetto dello yogurt (la maggior parte sono fatti in PP, una poliolefina riciclabilissima) è stato disincentivato con un Cac più alto.Gli errori a volte capitano, servono ad imparare. Ma se si persevera siamo diabolici… o furbi?Vediamo la carta, che inaugura il Cac differenziato dal primo gennaio. Qual è uno dei nodi irrisolti per questo materiale? L’imballaggio in poliaccoppiato carta, plastica (e a volte alluminio), che appunto è difficile da riciclare. Giusto quindi disincentivare questi imballaggi, ma… ecco la postilla: solo quelli che contengono liquidi. Ergo il cartone del latte d’ora in avanti pagherà di più, ma il sacchetto dei biscotti (non contenendo liquidi) pagherà la stessa cifra.Ebbene la cosa stona ancor di più se si pensa che in realtà esiste una filiera di riciclo dei cartoni per bevande in grado di riciclare l’intera frazione cellulosica (circa il 75% in peso): questi imballaggi raccolti in modo differenziato nei vari Paesi del vecchio continente vanno a finire quasi tutti in soli due impianti, che sono i più grossi, uno in Francia e uno in Italia, in provincia di Lucca.E i sacchetti dei biscotti? La maggior parte di essi finisce ancora nell’indifferenziata secondo quanto dichiara il consorzio nazionale Comieco, perché solo le aziende che hanno certificato i propri imballaggi con la prova Aticelca (volontaria) possono dichiarare che il loro sacchetto deve andare nella raccolta della carta. Nonostante questo i cartoni per bevande (riciclabili almeno al 75%) pagheranno di più, i sacchetti dei biscotti (in gran parte da mettere nell’indifferenziato), pagheranno di meno.

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