«Corro per liberare il mondo dai rifiuti»

CORRE. Raccoglie. Racconta. Corre una maratona al giorno, per sette giorni. Raccoglie rifiuti durante il cammino. Racconta la storia di quegli scarti e la fine che faranno (in mare). Roberto Cavallo, agronomo, ecologo e specialista in materia di rifiuti, ha inventato queste corse pazze fra mari e monti; il 4 maggio partirà la quinta edizione, dal Monviso all’Adriatico lungo il Po (in tutto 730 chilometri). Sono eventi che ancora stentano a trovare un nome: in inglese li definiscono «Keep, clean & run», ossia pulisci e corri; in Svezia hanno inventato un vocabolo – plogging – combinazione dello svedese plocka upp (raccogliere) e dell’inglese jogging. La sostanza è che si corre per lanciare un messaggio al mondo: bisogna ridurre rifiuti, e bisogna farlo subito. Roberto Cavallo, che cosa fate durante queste corse? «Tante cose. Io corro 50 chilometri al giorno, il resto in bicicletta. Spesso si unisce qualcuno, magari per dieci o venti chilometri. Ma soprattutto abbiamo dei momenti di incontro durante il percorso. Ci sono Comuni o associazioni che organizzano la pulizia di un parco, di un giardino, del greto di un fiume: quando arriviamo nasce un piccolo evento. Differenziamo i rifiuti, li pesiamo, ricordiamo che un oggetto buttato a terra arriva in mare. Il 75% dei rifiuti marini viene dall’entroterra. Finisce tutto in un diario di viaggio sul sito envi.info». Come sono cominciate queste corse? «È nato tutto dal commissario europeo all’ambiente Janez Potočnik, che conosco per il mio lavoro di consulente. Era il 2014. Mi chiese una mano per lanciare la Giornata europea contro l’abbandono dei rifiuti, ‘Let’s clean up Europe!’, che si celebra il 10 maggio. Mi disse: se ti viene un’idea per attirare l’attenzione... » E come le è venuta l’idea? «Un amico, Oliviero Alotto, proprio in quei giorni mi disse di avere corso da Aosta a Ventimiglia. Però, pensai, si potrebbero davvero unire mari e monti. Avevo l’idea: simulare il viaggio dei rifiuti verso il mare e intanto raccoglierli, raccontando tutto in diretta». Era già abituato a correre? «Assolutamente no. Per me è stata una rivelazione. Ho capito che la corsa è davvero una metafora della vita e della volontà di portare un messaggio. D’altronde la prima corsa che raccontiamo è quella di Filippide, da Maratona ad Atene per portare un messaggio». Quanti rifiuti raccoglie durante la corsa? «Non raccolgo tutto quello che trovo perché non ce la farei ad andare avanti. Alla fine metto nello zaino 10-15 chili di rifiuti al giorno: la macchina che mi segue diventa una piccola discarica. Poi ci sono i rifiuti raccolti nelle iniziative lungo il percorso. Alla fine arriviamo intorno alle 120 tonnellate». Sono molte ma non scalfiscono il problema. Non c’è il rischio che la testimonianza sia una consolazione rispetto all’effettiva impotenza? «È vero, c’è il rischio di legittimare l’atto di sporcare, perché tanto c’è qualcuno che prima o poi ripulisce. Sono e devono restare azioni di sensibilizzazione, divulgazione, comunicazione. Diciamo che agire, anche con un’azione esemplare, autorizza a chiedere l’impegno di altri, secondo un’attitudine alla corresponsabilità». Corresponsabilità di chi? «Se c’è un rifiuto per terra, non è solo colpa di chi l’ha buttato: c’è chi lo ha prodotto, chi l’ha usato per imballare, chi l’ha visto senza raccoglierlo, chi non ha fatto rispettare le regole... Tutti insieme dobbiamo uscire dalla diffusa deresponsabilizzazione». Ha scritto un libro, ‘La Bibbia dell’ecologia’ (Elledici editore), che lega i testi sacri al tema dei rifiuti. Vuole forse dire che era già tutto scritto? «Questo libro nasce da un conflitto interno, per le accuse del mondo ambientalista alla cultura cattolica e alla sua visione antropocentrica. Ho riaperto la Bibbia e mi è capitato sotto gli occhi un passo che mi ha fatto riflettere: «Sono un popolo insensato e in essi non c’è intelligenza: se fossero saggi, capirebbero, rifletterebbero sulla loro fine…è nel Deutoronomio 28,32 e mi ha spinto a rileggere l’Antico testamento: ho scoperto una saggezza che permetteva all’uomo di restare in contatto con la terra e la natura e quindi capire e prevedere i cambiamenti. È un rapporto che abbiamo perduto e che dobbiamo recuperare». © RIPRODUZIONE RISERVATA

Close Logout Cerca Facebook Instagram You Tube Twitter X Linkedin Download