Rifiuti, la produzione è in calo La differenziata resta nel caos

Produciamo meno rifiuti, ne differenziamo di più, ma la distribuzione non omogenea degli impianti di trattamento sul territorio ci costringe a trasferirne ancora troppi da regione a regione e anche all'estero, con costi che, inevitabilmente, si ripercuotono sulla bolletta che arriva nelle nostre case. E la fotografia scattata dal Rapporto rifiuti 2018, presentato ieri dall’Ispra, che conferma il calo della produzione totale del 2017 sotto i 30 milioni di tonnellate (29,6 milioni di tonnellate per l'esattezza), con una contrazione dell'1,7% rispetto al 2016 e una sostanziale stabilità della produzione nell'ultimo quinquennio (+0,08% dal 2013). Il calo maggiore si osserva in Umbria (-4,2%), mentre sono tutte dell'Emilia Romagna le province dove si producono più rifiuti per abitante, con in testa Rimini con 727 chili. Oltre la metà (il 55,5%) dei rifiuti prodotti viene differenziata, con risultati, però, molto distanti tra i territori. Mentre al Nord la differenziata arriva al 66,2% (con il Veneto al primo posto con il 73,6% e Treviso, primo trai capoluoghi, con 1'87,8%), al Sud si ferma al 41,9%, con Enna fanalino di coda con un misero 11,3%. Anche nel Mezzogiorno ci sono, comunque, degli esempi virtuosi. Sono infatti cinque le regioni che hanno fatto un salto di oltre 6 punti percentuali di raccolta differenziata, pur rimanendo sotto la media nazionale del 55,5% e sono: Basilicata (45,3%), Puglia (40,4%), Calabria (39,7%), Molise (30,7%) e Sicilia (21,7%). Per la prima volta dal 2010 rallenta la crescita della raccolta della frazione umida, aumentata soltanto dell' 1,6%nel 2017, rispetto ai quasi 8 punti percentuali degli ultimi sette anni. Cresce dell'8,2%, invece, la raccolta del legno e dell'8% quella del metallo. Complessivamente, il riciclaggio riguarda il 43,9% dei rifiuti, ancora inferiore al 50% dell'obiettivo Ue al 2020. Il problema, ancora una volta, è la scarsità degli impianti per il trattamento (644 quelli presenti sull'intero territorio nazionale), che costringe a trasferire il materiale tra le regioni e anche all'estero, con un inevitabile aggravio di costi. Lo smaltimento in discarica, invece, riguarda il 23% dei rifiuti prodotti e viene effettuato in 123 siti, undici in meno rispetto al 2016. Rispetto all'anno precedente, nel 2017 sono stati chiusi anche tre inceneritori, portando il numero complessivo a 38, di cui 26 al Nord. Dove, inevitabilmente, vengono inviati i rifiuti di altre regioni (300mila le tonnellate annue provenienti soltanto dal Lazio). Verso l'estero sono poi trasferite altre 355milatonnellate (il27,8%inAustria e il 13,1 % in Ungheria). Tutto ciò ha un costo quantificato dall'Ispra in 171,19 curo all'anno pro capite, con però forti differenze territoriali. Al Nord, ogni cittadino paga in media 151,16 euro all'anno, al Sud 182,27 euro e al Centro 206,88 euro, quasi 50 euro in più rispetto alle regioni settentrionali. «Su quanto paga il cittadino - spiega Rosanna Laraia, responsabile del Centro nazionale per il ciclo dei rifiuti dell'Ispra-incidono l'organizzazione del servizio, il costo dello spazzamento delle strade (che, per esempio, a Roma è molto alto) e la raccolta differenziata. Più è alta e meno si paga, perché diminuisce la quota di rifiuto che si invia in discarica. Un altro strumento di promozione dell'economia circolare è l'applicazione, da parte dei comuni, della tariffazione puntuale, basata sull'utilizzo di sistemi di rilevazione e quantificazione della produzione dei rifiuti riferiti a ogni singola utenza servita. Un'indagine su 341 comuni, con una popolazione di 2,5 milioni di abitanti, ha confermato che dove si applica la tariffazione puntuale, il costo totale medio pro capite è inferiore».

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